23 dicembre 2010

Per un amico

E' un attimo. E tutto cambia. La tua vita gettata via come uno straccio, il cuore si spezza e non trovi più un senso. Muori un po' anche tu. Muore dentro di te quella luce e quella speranza che ti aiutava a trascinarti attraverso questa vita, così difficile, così tormentata, così bella, così brutta.
E' un attimo. E tutto si spezza. Fragili, come siamo fragili! Non hai più lacrime... ti senti perso...
E' un attimo. Trovare un appiglio, un senso, qualcosa che ci consenta di andare avanti. Per noi e per gli altri, per chi resta e per chi se n'è andato. Perché la vita è una ed è breve.
Un abbraccio amico mio.

20 dicembre 2010

Vuoto

Vorrei riempire questo vuoto... questo senso di vertigine... vorrei scacciare quest'assenza... non ci riesco.
Cerco un appiglio... e scivolo... implodo... il vuoto si espande e mi risucchia mentre cerco disperatamente di chiudere la voragine.
Aiuto! grido disperata, ma nel vuoto, si sa, il suono non passa.

1 novembre 2010

Le mie colline

Non mi sembrava che fosse autunno. Fino a quando non ho visto le mie colline.
Gli alberi laggiù hanno preso quei colori caldi, tipici della stagione. E' un tripudio di giallo, rosso e arancio, con qualche spruzzata di verde ormai scuro. Le foglie cadono sotto il vento sferzante, in un turbinio, una danza convulsa. E a terra c'è un tappeto caldo e morbido.
Le mie colline scendono dolci nelle valli, sotto una pioggia fitta e densa. Non sembrava autunno, finché gli occhi non si sono riempiti di questo paesaggio. E il cuore ha perso un battito. Come potrei riuscire a farti provare l'amore immenso che ho per quella terra, per quei boschi e quei campi? E' un sentimento che provo ogni volta, ad ogni stagione, lo stupore si rinnova e cresce. Vorrei farti vedere e sentire quello che vedo e sento io. Loro, le mie colline, ci saranno sempre. Coi loro colori autunnali, a ricordarmi che il tempo passa, ma la meraviglia no.

27 ottobre 2010

autunno

Ancora una volta quel profumo di camino. Esco nell'aria fresca della sera autunnale, inspiro profondamente e quell'odore di legna bruciata mi riempie i polmoni. Sembra Natale. Mi immagino il profumo delle castagne. Ancora una volta la mente vaga tra ricordi e sogni. E non sa più cos'è vero. E' una sera strana. Mi sento malinconica e serena al tempo stesso. Vorrei essere leggera come una piuma e volare sopra i tetti, spiare la gente che cena nelle case calde. Vorrei essere un gatto davanti al camino e guardare le fiamme che danzano. Vorrei essere le fiamme del camino e danzare quel sabba infernale insieme a loro.
Inspiro forte ancora questo profumo di casa, ricordo di tempi antichi. Ed entro.

31 agosto 2010

E tu.

Tu con quegli occhi tristi su un volto allegro,
tu che hai i capelli bianchi a quarant'anni,
tu che non mi guardi perché ti vergogni,
tu che una volta hai fatto una scelta, e ora forse te ne penti.
Tu, che hai sempre pensato a te stesso,
e sei quello che ha sofferto di più.
Sì, tu che non hai capito di cosa avevi bisogno,
e sei andato avanti per inerzia.
Tu che mi racconti di tempi lontani,
perché del presente non c'è niente da raccontare.
Tu che sei circondato ogni giorno da un sacco di persone,
eppure ti senti solo.
Tu che non hai ancora comprato una casa,
perché non sai dove vuoi stare.
Tu sei seduto qui davanti a me e mi racconti la tua vita...
E io non so cosa rispondere, perché io quello che hai vissuto tu,
non lo so.
E tu mi parli di naufragi perché ti senti naufragare,
portato alla deriva da una vita di scelte sbagliate,
ma non è finita.
Io vorrei dirti che c'è ancora tempo per cambiare,
ma tu scappi, davanti a me, come hai fatto per tutta la vita.

25 agosto 2010

Il mare

Seduta sulla riva osservo il mare.
Quel mare infausto che portò via il figlio di Padron 'Ntoni. Quel mare bello che si infrange sulle rocce bagnando i miei fogli. Scrivo a mano, riscopro questo piacere. Piegata in 2 su questo foglio ricavato, alzo la testa e vedo il mare. Aperto. Dopo quegli scogli laggiù non c'è più terra, solo il mare. Azzurro, immenso, si perde all'orizzonte e tra poco si confonderà col cielo in un crepuscolo rosa e argento.
E intanto penso a questo mare cantato dai poeti e dagli scrittori. A questo mare cattivo che mi fa paura. A questo mare subdolo che mi incanta col suo sciabordio.
Più ti guardo e più ti amo, mare. So che mi mancherai tutto l'inverno. Lasciarti è sempre una pena. Io, nata e vissuta lontano dal mare, vorrei ogni giorno perdere lo sguardo tra le onde all'infinito. Mi riempio gli occhi di questo azzurro, mi riempio l'anima della pace e della calma che solo guardarti mi sa dare. E spero di portarne un po' nel cuore, per affrontare l'inverno senza di te, mare.

22 luglio 2010

Filastrocca

Ultimamente mi viene sempre in mente una filastrocca, ma non riuscivo a ricordarmela per intero... finalmente l'ho ritrovata! ricorda un po' una storiella che mi raccontava mia nonna...

Topolino topoletto
s'è ficcato sotto il letto
e la mamma poveretta
gli ha tirato una scopetta.
Corri corri all'ospedale
è cascato per le scale
corri corri in farmacia
gli hanno detto 'Pussa via!'.
Corri corri al camposanto
gli hanno detto 'Grazie tanto'
corri corri al cimitero
gli hanno fatto un occhio nero.
Topolino topoletto
poverino poveretto
topolino topolino
mangia pane e formaggino.

25 giugno 2010

Due ore in un giorno di sole

D'estate, quando c'è il sole, ci sono due momenti della giornata che preferisco.
L'ora dalle 14 alle 15: l'ora della siesta, quella più calda della giornata. Mi piacerebbe sedermi fuori e "meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d'orto" come diceva Montale. In quell'ora c'è silenzio, tutti sono immersi nel torpore del dopo pranzo, si sente solo il lavorio della natura tutta intorno. Il sole picchia e puoi quasi sentire l'erba crescere e tendersi verso quel calore. I pochi animali in giro si muovono pigramente. Puoi osservare tutto come se fossi un tutt'uno con il mondo, fuori dal tuo corpo intontito dal caldo.
E poi l'ora che va dalle 19 alle 20. Quell'ora di relax prima di cena, quando finalmente hai terminato i tuoi compiti giornalieri, e ti puoi godere un po' di riposo. Svuoti la mente, cammini per strada, non è più caldo come prima, se sei fortunata si alza anche un po' di brezza serale. Piano piano si svuota la città, tutti rientrano a casa, il sole si fa basso sull'orizzonte. Non è ancora sera, c'è luce e ti puoi godere gli ultimi raggi rassicuranti. Senti la natura che va a riposo, i suoi suoni si spengono lentamente. "Ed è subito sera" come diceva un altro poeta, Quasimodo.

13 aprile 2010

inadeguatezza

... se per tutta la vita non mi fossi sentita così inadeguata adesso sarei una donna diversa...

9 aprile 2010

slipping through my fingers...

Dedicato alla mia mamma: spero che prima o poi potremo tornare a fare tutte le cose che facevamo insieme prima...


4 marzo 2010

il dottor Zivago

Due figure nella nebbia. Così si immaginavano Maja e Boris quella sera. Con i loro cappotti lunghi e neri, lei bionda e diafana, lui moro con quell'aria un po' da zingaro, sembravano una coppia d'altri tempi: Lara e il dottor Zivago nella steppa innevata. Solo che loro non erano nemmeno una coppia, anche se per strada tutti li guardavano come se lo fossero. Alti e belli, un po' persi nei loro pensieri... Forse una coppia sarebbero anche potuti esserlo, ma, come si dice, le circostanze non lo permettevano. Troppe diversità, sociali e culturali, troppe complicazioni, troppa fatica.
Chissà se ci pensavano, Maja e Boris, che sarebbero potuti essere più che amici. Così diversi, così amici. Non faceva freddo quella notte, ma l'aria umida penetrava attraverso i cappotti, facendoli rabbrividire, mentre si allontanavano dal lago per addentrarsi in quella città straniera per entrambi. Per strada erano rimasti solo loro, eppure non era tardi. Che desolazione!
L'aria triste di Boris e l'aria assente di Maja facevano pensare che avessero appena litigato, mentre camminavano a distanza di sicurezza. Invece erano entrambi assorti nei loro pensieri: Boris ripensava alla sua famiglia lontana, che non vedeva da 15 anni e non avrebbe potuto vedere ancora per molto, Maja pensava che di lì a poco se ne sarebbe andata da quella città, abbandonando tutto quello che aveva costituito la sua vita fino ad allora. Maja non sapeva quasi niente della vita di Boris, tranne quello che sapevano tutti - la guerra, la fuga, la tristezza che si portava nel cuore, la sua follia. Ma lei non aveva MAI avuto paura di lui: si erano incontrati, si erano piaciuti e si erano subito voluti bene, dal primo momento. Boris sapeva che doveva proteggerla, lei era come un fiore spaventato dal gelo. Lui aveva le spalle forti, lei no, perché non aveva visto niente e non sapeva niente, ma aveva un cuore grande e gli voleva bene incondizionatamente, come pochi avevano saputo fare. Erano amici, niente di più e niente mai ci sarebbe stato oltre a quello.
Maja non sapeva nemmeno che poco tempo dopo quella sera avrebbe imparato quanto Boris aveva sofferto e quanto stava ancora soffrendo, non sapeva che lui sarebbe andato da lei piangendo: sì quell'uomo forte e folle, misterioso e silenzioso, avrebbe aperto il suo cuore a lei, che non sapeva niente e non poteva capire. Maja non sapeva che avrebbe pianto con lui e per lui... e lui le sarebbe stato sempre grato di essere lì quella sera.

3 febbraio 2010

Don Ingenuo

Oggi voglio raccontarvi una storia, una storia vera.
C'era una volta un prete di campagna, lo chiameremo don Ingenuo per la privacy. Questo prete era stato trasferito in un paesino della campagna umbra per sostituire il vecchio curato, non si sa se per punizione o per semplice sorte. Il paese era piccolo piccolo, c'era da fare tanto lavoro, perché doveva gestire almeno 4 parrocchie. Non c'erano tanti preti disposti a sottostare a queste condizioni. Forse nemmeno lui lo era, ma gli era toccata quella sorte (o punizione) e non aveva avuto scelta. La gente non lo vedeva di buon occhio, affezionata com'era al vecchio curato. E lui si era dovuto subito mostrare diverso da come era: un uomo pieno di energia e iniziative, un uomo moderno, colto e intelligente. La gente del paese, gente di campagna, contadini e artigiani, non volevano questo. Volevano un prete semplice, uno che parlasse della campagna e non filosofeggiasse su Dio e la Chiesa. Volevano un prete concreto che si occupasse della gente e dei loro problemi. C'era bisogno di aiuto, spirituale e fisico. Lui, allora giovane, che aveva vissuto nei lussi della curia, non sapeva da che parte iniziare. La perpetua lo aiutava. E la gente, maligna, cominciò a spargere voci. Si diceva che poi che il figlio (illegittimo) della perpetua fosse figlio suo. Ma solo Dio sa se sia vero. Il povero prete, tra incomprensione e fatica, piano piano cominciò ad ammalarsi, relegato in quella vita che non faceva per lui e che forse non avrebbe desiderato. Col solo conforto della sua fede non riusciva più a capire cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Solo qualche signora (di quelle più abbienti, proprietarie terriere) lo aiutava a restare sano di mente: lo invitava a pranzo la domenica e per le feste, lo invitava per il tè e organizzava riunioni spirituali. Però il tracollo era vicino. E il povero prete, fattosi ormai anziano, perse la testa quasi definitivamente. Un giorno l'idea si fece più chiara nella sua mente. C'era un solo modo per scappare da quella realtà che gli era sempre andata stretta. Missione. E chiese, implorò il Vescovo, che gli trovasse una missione in cui rifugiarsi per qualche mese. Il Vescovo capì. Non era certo una scelta spirituale, non era un desiderio di aiutare gli altri, ma la necessità di aiutare se stesso. Ma la carità cristiana si sa, è anche questo. E il Vescovo gli disse: vai e fai buon uso di ciò che hai imparato. E così don Ingenuo andò, pieno di speranza e curiosità. E rivisse. Andò in Brasile, in mezzo alla foresta amazzonica. Lì vide la povertà e la gioia. Lì capì che aveva sempre sbagliato. Capì che si poteva essere felici anche con niente. Lì si sentì vivo e utile e amato e apprezzato. Lì forse capì che non era il prete che voleva fare, ma voleva essere utile agli altri. Ma ormai era tardi per cambiare strada, poteva solo godersi quella sensazione di libertà e pace. Ritornò al paesello portandosi dietro il sole dell'amazzonia... e una donna con un bambino. Quella donna fu scandalo. Tutti dissero che non aveva perso il vizio. E forse no, non l'aveva perso. Ma a quell'età cosa poteva importargli? Forse si era innamorato di quella donna, ma di sicuro era amore platonico. Si era innamorato della sua voglia di vivere nonostante le difficoltà che aveva dovuto affrontare. Lui che non era riuscito ad affrontare le sue piccole difficoltà quotidiane. Era tornato al paese con la gioia di chi ha tutto! Pieno di entusiasmo come all'inizio. Aveva portato l'allegria del Brasile con sè: i colori, i profumi, i suoni... ma al solito nessuno l'aveva capito. Lui però imperterrito cercava di istruire quella gente ignorante di campagna, che non aveva mai visto niente al di fuori delle sue terre. Organizzò una grande festa, una Messa in stile missione, come quelle che teneva nella foresta amazzonica. Chiamò i missionari e fece venire i suoi amici brasiliani della missione. E nella piccola chiesa di campagna portò i suoni e il calore del Rio delle Amazzoni. Tra canti e balli, battere di mani e di piedi si intonavano grazie al Signore "Tu és, Senhor, o meu pastor, por isso nada em minha vida faltará"! Ma ancora una volta la gente non capì e seppe solo criticare. Scandalizzata dal comportamento di questo prete e da ciò che avveniva nelle missioni, lo relegò sempre più in un angolo e lo lasciò solo coi suoi progetti. Egli cercò sempre di più di vincere il male che lo attanagliava. Ma le voci, le chiacchiere, le malignità si sa, sono più forti di tutto. Ancora una volta toccò al Vescovo decidere per lui. Questa volta in modo definitivo. Lo prese da parte e gli spiegò che Dio aveva deciso che quella era la sua croce e non poteva più stare tra la sua gente, quella che nonostante tutto lui aveva imparato ad amare. Con le lacrime agli occhi salutò il paesello, la campagna e i suoi abitanti, le signore che avevano continuato a stargli vicine e la sua amica brasiliana che rimandò a casa. E con la morte nel cuore si diresse verso un monastero non meglio precisato, dove avrebbe potuto finire i suoi anni pregando Dio che lo perdonasse. Tornò qualche volta, avvolto nel mistero della sua nuova vita. Poi non tornò più, forse è morto, forse è ancora lì che si chiede quale sia stato il suo posto in questo mondo e lo scopo della sua vita. Addio don Ingenuo, io ho avuto pietà di te, e, seppur bambina, ti ho voluto bene.